Musica - i break horses - hearts (ascolta mentre leggi)
Solo il tempo ti può aiutare. Aspetta che passi un po' di tempo e vedrai... Datti del tempo per superare la cosa.
Uno si chiede allora cosa sia questo tempo, più che quanto lungo sia questo tempo per...per quello che deve servire. Il tempo...allora vediamo per me il tempo è spazio in movimento se guardo all'indietro, sensi sollecitati e impressi nella memoria. Non c'è nulla di vero in questo tempo, o almeno, di vero in senso forte. Quello che ci resta è sempre molto distante da quello che succede, solo che noi lo si percepisce sempre egoisticamente per quello che ci interessa.
C'è il tempo che vuoi vedere davanti. Quello è più o meno colorato con i colori dei desideri, degli ideali (che son pur sempre desideri mascherati) e della tensione a non vederci mai morti. Questo colore è ovviamente sfumato in mille tinte perchè per quanto uno si impegni è veramente difficile da disegnare tutto e in maniera precisa quello che ci viene di fronte.
C'è, infine il tempo del presente, che...che è questo.
finito il tempo. nuovo giorno. nuova notte
buona
martedì 2 agosto 2011
dieci a mezzanotte
lunedì 18 luglio 2011
un treno quasi perso
Musica I - phoenix - rome (ascolta mentre mentre stendi) "we share a cigarette somewhere"
Musica II- king creosote & john hopkins - bubble (ascolta mentre si asciuga)
Fotografia - gp - f 4.8 t 1\200
Riempio uno spazio vuoto. Bianco. In primo piano una finestra aperta, in legno di abete marrone scuro con delle venature grigiastre dovute al tempo e all'aria salmastra. Sì, oltre alla finestra c'è il mare. Non che centri qualcosa, ma il mare mi piace e ce lo voglio mettere anche se solo fuori dalla finestra, in lontananza senza che si veda. Che si senta sì però.
Sotto la finestra la via di un centro, una zona pedonale. Qualche persona che passeggia, discorsi calati di punto in bianco, che entrano dalla finestra aperta per il caldo, rimbalzano sui muri macchiati dal tempo e su una stampa di un quadro di schiele portato come ricordo da un viaggio o da qualche mostra.
Poi fuori. Di fronte, un palazzo alto poco più di due piani. Due fili bianchi da bucato che partono da sotto la finestra per raggiungere la casa di fronte e ritornare pochi metri dopo.
Mi piace questa cosa dei fili del bucato che uniscono. Ci stenderei la mia maglietta azzurra. Vicino alla canottiera a righe orizzontali bianche e viola della vicina di fronte. Disegnerei una mano sul muro con le unghie rosse. Anzi no, disegnerei sul muro di fronte due piedi con le unghie rosse. Il colore rosso lo darei con un smalto da unghie. Così troverei due piedi che si lasciano colorare. Aspetterei il sole della sera, caldo e fermo, le voci che passano di sotto, i gatti che si spostano con l'ombra, i capelli mossi dal vento, i viaggi fatti per caso, le vite girate al contrario, i cocomeri freschi sul balcone,
Troppo mieloso...
e un sorriso. Il primo. Senza noia.
Musica II- king creosote & john hopkins - bubble (ascolta mentre si asciuga)
Fotografia - gp - f 4.8 t 1\200
Riempio uno spazio vuoto. Bianco. In primo piano una finestra aperta, in legno di abete marrone scuro con delle venature grigiastre dovute al tempo e all'aria salmastra. Sì, oltre alla finestra c'è il mare. Non che centri qualcosa, ma il mare mi piace e ce lo voglio mettere anche se solo fuori dalla finestra, in lontananza senza che si veda. Che si senta sì però.
Sotto la finestra la via di un centro, una zona pedonale. Qualche persona che passeggia, discorsi calati di punto in bianco, che entrano dalla finestra aperta per il caldo, rimbalzano sui muri macchiati dal tempo e su una stampa di un quadro di schiele portato come ricordo da un viaggio o da qualche mostra.
Poi fuori. Di fronte, un palazzo alto poco più di due piani. Due fili bianchi da bucato che partono da sotto la finestra per raggiungere la casa di fronte e ritornare pochi metri dopo.
Mi piace questa cosa dei fili del bucato che uniscono. Ci stenderei la mia maglietta azzurra. Vicino alla canottiera a righe orizzontali bianche e viola della vicina di fronte. Disegnerei una mano sul muro con le unghie rosse. Anzi no, disegnerei sul muro di fronte due piedi con le unghie rosse. Il colore rosso lo darei con un smalto da unghie. Così troverei due piedi che si lasciano colorare. Aspetterei il sole della sera, caldo e fermo, le voci che passano di sotto, i gatti che si spostano con l'ombra, i capelli mossi dal vento, i viaggi fatti per caso, le vite girate al contrario, i cocomeri freschi sul balcone,
Troppo mieloso...
e un sorriso. Il primo. Senza noia.
martedì 12 luglio 2011
Se questa è vita
Musica - nada surf - blankest year
Video - apertura della rosa di Gerico - 6 pic/min, 20 ore
La rosa di Gerico - o pianta della resurrezione - è una figata.
Intanto se non ci dai acqua, non fa la vittima ma se ne sta secca secca, buona buona, in attesa che tu ti ricordi di lei. In secondo luogo puoi portarla in giro, che quando devi spostarti lei si appallottola. Te la possono regalare anche se devi andare in aereo, per dire, che al limite uno non serve neanche la tenga nella valigia ma ci sta benissimo anche nelle tasche del giubbino. Per dire.
Fatto è che questa palletta rinsecchita basta che annusi l'acqua e rinasce completamente, aprendosi nell'arco di 2-3 ore e riacquistando un colore verdognolo...dico verdognolo perché anche se mi suggeriscono "verde brillante" non me la sento di definire in questo modo il colore della mia rosa.
Wiki fa anche notare come il fatto che si apra non sia necessariamente indice di vitalità, ma potrebbe essere semplicemente un riflesso della pianta morta, fisiologicamente programmata per aprirsi e rilasciare i propri semi in un ambiente umido (e quindi favorevole alla propagazione della specie). Diabolica!
Fortunatamente, in quest'epoca di idioti, non ci fa ne caldo ne freddo che la suddetta rosa sia viva o morta.
Basta che si apra e si chiuda a comando.
Come diceva qualcuno: nuovo giorno. nuova notte.
Buona
Video - apertura della rosa di Gerico - 6 pic/min, 20 ore
La rosa di Gerico - o pianta della resurrezione - è una figata.
Intanto se non ci dai acqua, non fa la vittima ma se ne sta secca secca, buona buona, in attesa che tu ti ricordi di lei. In secondo luogo puoi portarla in giro, che quando devi spostarti lei si appallottola. Te la possono regalare anche se devi andare in aereo, per dire, che al limite uno non serve neanche la tenga nella valigia ma ci sta benissimo anche nelle tasche del giubbino. Per dire.
Fatto è che questa palletta rinsecchita basta che annusi l'acqua e rinasce completamente, aprendosi nell'arco di 2-3 ore e riacquistando un colore verdognolo...dico verdognolo perché anche se mi suggeriscono "verde brillante" non me la sento di definire in questo modo il colore della mia rosa.
Wiki fa anche notare come il fatto che si apra non sia necessariamente indice di vitalità, ma potrebbe essere semplicemente un riflesso della pianta morta, fisiologicamente programmata per aprirsi e rilasciare i propri semi in un ambiente umido (e quindi favorevole alla propagazione della specie). Diabolica!
Fortunatamente, in quest'epoca di idioti, non ci fa ne caldo ne freddo che la suddetta rosa sia viva o morta.
Basta che si apra e si chiuda a comando.
Come diceva qualcuno: nuovo giorno. nuova notte.
Buona
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biologia,
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natura,
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sabato 25 giugno 2011
dieci a mezzanotte
Musica - virgo four - it's a crime (ascolta)
Fotografia - gp - padova portello - f 4.5 t 0.65 iso 3200
e oggi cosa abbiamo imparato? Ah ecco... pensavo a Cees Noteboom scrittore olandese famoso per giocare con spazio e tempo. Soprattutto con lo spazio per quello che ho letto io di lui. Uno dei suoi racconti, secondo me, più riusciti parte da una foto. Il protagonista prende la foto e la guarda. Vecchia foto di un gruppo di amici a Venezia. Tipico no, per un europeo? Pensa al valore di quell'immagine. al suo valore per ognuno di quei signori sopra stampati, bloccati, ma in qualche modo vivi di una vita propria, diversa da quella delle persone in carne ed ossa che la foto rappresenta. Racconta poi della fine che qualcuno ha fatto o della fine che qualcun'altro deve ancora fare.
Scatto la foto che c'è lì a destra. Qualche nordafricano mi chiede se per caso stavo fotografando lui o i suoi amici.
Appoggio la borsa. Vedo facce sconosciute. Guardo facce sconosciute. Prendo il monopattino. Arrotolo i pantaloni troppo lunghi. Vedo altre facce, palazzi, cancelli, porte, bar, biciclette, macchine sfuocate dai fari che proiettano, un fiume, una chiesa, un ponte, molte rotonde, altre facce. Salgo le scale. Sento storie che trovo strane, assurde e allo stesso tempo normali, arrotolo una manica della camicia. Mi viene alla mente uno stormo di uccelli che ho visto poche ore prima. Un bel gruppo di non so cosa, erano troppo lontani. Ricordo però che sembravano una macchia psichedelica per lo sbattere delle ali. Bel vedere: puntini neri-su sfondo azzurro-terso-macchiato da qualche nuvola-bianca-non molto alta.
Poi ritorno a pensare a persone che deludono altre persone che deludono altre persone che deludono altre persone che deludono altre persone che deludono altre persone che deludono altre persone che deludono al... sperando di non deludere nessuno. Con coscienza almeno. Perchè altrimenti è come una vena piena di schifo che si accumula giorno per giorno e che prima o poi esploderà, riempirà dello stesso schifo tutto attorno e difficilmente riuscirà ad essere cucita. Eventualmente...una cicatrice indelebile. Eppur son persone...
Fotografia - gp - padova portello - f 4.5 t 0.65 iso 3200
e oggi cosa abbiamo imparato? Ah ecco... pensavo a Cees Noteboom scrittore olandese famoso per giocare con spazio e tempo. Soprattutto con lo spazio per quello che ho letto io di lui. Uno dei suoi racconti, secondo me, più riusciti parte da una foto. Il protagonista prende la foto e la guarda. Vecchia foto di un gruppo di amici a Venezia. Tipico no, per un europeo? Pensa al valore di quell'immagine. al suo valore per ognuno di quei signori sopra stampati, bloccati, ma in qualche modo vivi di una vita propria, diversa da quella delle persone in carne ed ossa che la foto rappresenta. Racconta poi della fine che qualcuno ha fatto o della fine che qualcun'altro deve ancora fare.
Scatto la foto che c'è lì a destra. Qualche nordafricano mi chiede se per caso stavo fotografando lui o i suoi amici.
Appoggio la borsa. Vedo facce sconosciute. Guardo facce sconosciute. Prendo il monopattino. Arrotolo i pantaloni troppo lunghi. Vedo altre facce, palazzi, cancelli, porte, bar, biciclette, macchine sfuocate dai fari che proiettano, un fiume, una chiesa, un ponte, molte rotonde, altre facce. Salgo le scale. Sento storie che trovo strane, assurde e allo stesso tempo normali, arrotolo una manica della camicia. Mi viene alla mente uno stormo di uccelli che ho visto poche ore prima. Un bel gruppo di non so cosa, erano troppo lontani. Ricordo però che sembravano una macchia psichedelica per lo sbattere delle ali. Bel vedere: puntini neri-su sfondo azzurro-terso-macchiato da qualche nuvola-bianca-non molto alta.
Poi ritorno a pensare a persone che deludono altre persone che deludono altre persone che deludono altre persone che deludono altre persone che deludono altre persone che deludono altre persone che deludono al... sperando di non deludere nessuno. Con coscienza almeno. Perchè altrimenti è come una vena piena di schifo che si accumula giorno per giorno e che prima o poi esploderà, riempirà dello stesso schifo tutto attorno e difficilmente riuscirà ad essere cucita. Eventualmente...una cicatrice indelebile. Eppur son persone...
venerdì 17 giugno 2011
dieci alle 6 (a.m.)
Fotografia - gp - D90 f 3.5 t 1/2500
Musica - massive attack - paradise circus feat. hope sandoval (ascolta)
Ho acquistato le ciabatte. Era un po' di tempo che lo dovevo fare e mi sono deciso. So che sono soltanto ciabatte, ma è stata una scelta importante lo stesso. Ne ho visto un sacco di modelli. Infradito: scartate subito. Troppo poco flessibili. In inverno che fai? col calzino sono scomode...Incrociate: eccessive per stare in casa forse. tranne un modello carino che rassomiglia parecchio a quelle cose-che-non-so-come-si-chiamino che portano i giapponesi. Sì insomma mentre stanno lì vicino al tatami, si mettono quelle cose parecchio ingombranti con la suola in legno, avete presente?
Poi ci sono quelle in gomma. Le crocs o simili...che so io come si chiamano. Nate negli ospedali, portate da tutti. Sarà per Scrubs, Doctor House, Grey's Anatomy, che se non sbaglio sono serie che tirano parecchio e che sono girate più o meno sempre in interni dove tutti indossano ste cose in gomma. Colorate. Hanno persino degli affarini che tu puoi attaccare nei buchini che forano la parte superiore. Ma che bene.
Poi pensi al viaggio in barca, scendi nella metro di Wien, capisci cosa ti dice, in tedesco, la vocina metallica alla fermata e mangi una mela schifosa proprio prima del teatro dell'Opera di Stato. Ti resta un gusto pessimo, sputi un pezzetto nel tombino e prendi l'ultimo cocco fresco dalla cambusa. Domani bisognerà comprarne ancora. Che poi domani........
non mi ricordo cosa volevo dire.
ah ecco! volevo dire cosa ho imparato oggi:...
Non ho voglia. sono un sacco di cose. Invece mi ricordo che per fare un buon Mojito servirebbe lo zucchero di canna raffinato. Quello bianco. Mi ricordo anche quanto fastidiosi siano gli ubriachi al bar quando sta per chiudere. Da fuori sono anche divertenti, ma soltanto il giorno dopo, quando ci ripensi. Se poi è una ragazza a chiederti cinque "Rum e pera" per le sue amiche...beh allora è ancora peggio.
It's a thunder and its lightening!
Alla fine le ho prese bianche le ciabatte. Comode. Classiche. Leggere. Non si può sempre esagerare dai...
Musica - massive attack - paradise circus feat. hope sandoval (ascolta)
Ho acquistato le ciabatte. Era un po' di tempo che lo dovevo fare e mi sono deciso. So che sono soltanto ciabatte, ma è stata una scelta importante lo stesso. Ne ho visto un sacco di modelli. Infradito: scartate subito. Troppo poco flessibili. In inverno che fai? col calzino sono scomode...Incrociate: eccessive per stare in casa forse. tranne un modello carino che rassomiglia parecchio a quelle cose-che-non-so-come-si-chiamino che portano i giapponesi. Sì insomma mentre stanno lì vicino al tatami, si mettono quelle cose parecchio ingombranti con la suola in legno, avete presente?
Poi ci sono quelle in gomma. Le crocs o simili...che so io come si chiamano. Nate negli ospedali, portate da tutti. Sarà per Scrubs, Doctor House, Grey's Anatomy, che se non sbaglio sono serie che tirano parecchio e che sono girate più o meno sempre in interni dove tutti indossano ste cose in gomma. Colorate. Hanno persino degli affarini che tu puoi attaccare nei buchini che forano la parte superiore. Ma che bene.
Poi pensi al viaggio in barca, scendi nella metro di Wien, capisci cosa ti dice, in tedesco, la vocina metallica alla fermata e mangi una mela schifosa proprio prima del teatro dell'Opera di Stato. Ti resta un gusto pessimo, sputi un pezzetto nel tombino e prendi l'ultimo cocco fresco dalla cambusa. Domani bisognerà comprarne ancora. Che poi domani........
non mi ricordo cosa volevo dire.
ah ecco! volevo dire cosa ho imparato oggi:...
Non ho voglia. sono un sacco di cose. Invece mi ricordo che per fare un buon Mojito servirebbe lo zucchero di canna raffinato. Quello bianco. Mi ricordo anche quanto fastidiosi siano gli ubriachi al bar quando sta per chiudere. Da fuori sono anche divertenti, ma soltanto il giorno dopo, quando ci ripensi. Se poi è una ragazza a chiederti cinque "Rum e pera" per le sue amiche...beh allora è ancora peggio.
It's a thunder and its lightening!
Alla fine le ho prese bianche le ciabatte. Comode. Classiche. Leggere. Non si può sempre esagerare dai...
mercoledì 8 giugno 2011
dieci alle 6 (a.m.)
Musica - jacques green - another girl (ascolta)
Fotografia - gp - budapest - EOS 450D f 5.6 t 1/250
"Basta lavorare per oggi, andiamo a casa".
La polvere nera è quella di un'officina di provincia. Vetri scuri che filtrano quasi tutta la luce, portone grande all'entrata e pochi spazi non riempiti. Un calendario. Un orologio. Un'infinità di scaffali. Lampadine appese a fili che si muovono appena per l'aria -poca- che passa.
"Certo che nella tua situazione mi fai proprio pena".
"Ma scusa, come fai a sapere? Come fai a sapere che mi ha..." "No, dico, nella tua situazione mi fai proprio pena, punto!" "Sì ma, che colpa ne ho?" "Che ne so?"
Fine.
Non sempre è questione di colpa.
Si aprono gli occhi e il sipario ma non si riesce a mettere a fuoco. La luce rare volte è da ostacolo alla vista. Le sei sono lì ad un passo. Letto caldo, aria strana, pesante. Forse per colpa della polvere dell'officina.
La differenza tra star male e essere morti è che il primo lo puoi sentire, l'altro no.
Poi, l'epifania! Cos'è un'epifania? Qualcuno o qualcosa che ti fa realizzare, comprendere la più ovvia tra le evidenze che avevi davanti agli occhi. Era da sempre lì, ma senza quell'epifania forse non ci saresti mai arrivato.
...da lì si deve iniziare
Fotografia - gp - budapest - EOS 450D f 5.6 t 1/250
"Basta lavorare per oggi, andiamo a casa".
La polvere nera è quella di un'officina di provincia. Vetri scuri che filtrano quasi tutta la luce, portone grande all'entrata e pochi spazi non riempiti. Un calendario. Un orologio. Un'infinità di scaffali. Lampadine appese a fili che si muovono appena per l'aria -poca- che passa.
"Certo che nella tua situazione mi fai proprio pena".
"Ma scusa, come fai a sapere? Come fai a sapere che mi ha..." "No, dico, nella tua situazione mi fai proprio pena, punto!" "Sì ma, che colpa ne ho?" "Che ne so?"
Fine.
Non sempre è questione di colpa.
Si aprono gli occhi e il sipario ma non si riesce a mettere a fuoco. La luce rare volte è da ostacolo alla vista. Le sei sono lì ad un passo. Letto caldo, aria strana, pesante. Forse per colpa della polvere dell'officina.
La differenza tra star male e essere morti è che il primo lo puoi sentire, l'altro no.
Poi, l'epifania! Cos'è un'epifania? Qualcuno o qualcosa che ti fa realizzare, comprendere la più ovvia tra le evidenze che avevi davanti agli occhi. Era da sempre lì, ma senza quell'epifania forse non ci saresti mai arrivato.
...da lì si deve iniziare
domenica 22 maggio 2011
La fine dei treni
Musica - chris and the other girls - ready if you are (ascolta)
Fotografia - mc - 450D - f8 t1/160
Senza dubbio! La fine dei treni è la parte migliore. Dei treni. Perchè se manca la locomotiva-coda-treno, che fa da ultimo vagone, e hai la fortuna di accorgertene, puoi sederti per terra, sulla moquette della piccola entrata subito dopo gli scalini e guardare oltre la porta in vetro. Porta che di solito divide i due vagoni, mentre questa volta divide te dalla terra che corre. Spingi i piedi verso il vetro, la schiena sulla plastica fredda e azzurrina.
Terra che scappa. Sembra che tutto quello che vedi parta dalle tue spalle e si stacchi dalla pelle per perdersi tra due rotaie che si stringono lentamente per non darsi fastidio. Tutto molto veloce se ne va. Fa male, ti lascia una smorfia graffiata sul muso.
Ti accorgi di piccole cose che non avresti mai e poi mai immaginato. I fili, che mandano avanti la locomotiva, che sempre credevi paralleli ai binari in realtà fanno zig-zag tra una rotaia e l'altra come per noia. Se li guardi dal basso, dal vagone, mentre stai viaggiando veloce, sembra di vedere un pendolo in aria: destra-sinistra-destra-sinistra-destra-sinistra...
Oppure certe volte il tutto rallenta e sembra essersi rotto qualcosa. Invece è soltanto la stazione che stai per raggiungere che vuol farsi vedere bene, prima di sparire. Un punto. Un niente! Chissà perchè le cose che se ne vanno devono prima diventare piccole.
Ovviamente devi ascoltare della buona musica perchè nell'anticamera del vagone c'è un casino incredibile...che tra l'altro ti serve anche se arriva una bambina indiana in braccio ad una mamma un po' stanca dei suoi pianti senza un motivo. Ti serve perchè se la musica è buona, ti riesce facile fare qualche faccia stupida da contraltare al pianto della piccola. Chissà perchè una smorfia stupida vince un pianto stupido. Fai la lingua, e le lacrime si incastrano tra le pieghe della sua pelle morbida di bambina, proprio sopra la bocca che ride.
Le lacrime si seccano sulle guance rossicce, i capelli nerissimi si muovono con l'aria che entra dalla porta, gli occhi piccoli si girano un'ultima volta mentre la mamma scende gli scalini, il collo gira la testa. Non c'è più. Andata.
Fotografia - mc - 450D - f8 t1/160
Senza dubbio! La fine dei treni è la parte migliore. Dei treni. Perchè se manca la locomotiva-coda-treno, che fa da ultimo vagone, e hai la fortuna di accorgertene, puoi sederti per terra, sulla moquette della piccola entrata subito dopo gli scalini e guardare oltre la porta in vetro. Porta che di solito divide i due vagoni, mentre questa volta divide te dalla terra che corre. Spingi i piedi verso il vetro, la schiena sulla plastica fredda e azzurrina.
Terra che scappa. Sembra che tutto quello che vedi parta dalle tue spalle e si stacchi dalla pelle per perdersi tra due rotaie che si stringono lentamente per non darsi fastidio. Tutto molto veloce se ne va. Fa male, ti lascia una smorfia graffiata sul muso.
Ti accorgi di piccole cose che non avresti mai e poi mai immaginato. I fili, che mandano avanti la locomotiva, che sempre credevi paralleli ai binari in realtà fanno zig-zag tra una rotaia e l'altra come per noia. Se li guardi dal basso, dal vagone, mentre stai viaggiando veloce, sembra di vedere un pendolo in aria: destra-sinistra-destra-sinistra-destra-sinistra...
Oppure certe volte il tutto rallenta e sembra essersi rotto qualcosa. Invece è soltanto la stazione che stai per raggiungere che vuol farsi vedere bene, prima di sparire. Un punto. Un niente! Chissà perchè le cose che se ne vanno devono prima diventare piccole.
Ovviamente devi ascoltare della buona musica perchè nell'anticamera del vagone c'è un casino incredibile...che tra l'altro ti serve anche se arriva una bambina indiana in braccio ad una mamma un po' stanca dei suoi pianti senza un motivo. Ti serve perchè se la musica è buona, ti riesce facile fare qualche faccia stupida da contraltare al pianto della piccola. Chissà perchè una smorfia stupida vince un pianto stupido. Fai la lingua, e le lacrime si incastrano tra le pieghe della sua pelle morbida di bambina, proprio sopra la bocca che ride.
Le lacrime si seccano sulle guance rossicce, i capelli nerissimi si muovono con l'aria che entra dalla porta, gli occhi piccoli si girano un'ultima volta mentre la mamma scende gli scalini, il collo gira la testa. Non c'è più. Andata.
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